il Collegato Lavoro (legge n. 203/2024) cambia le modalità di calcolo del periodo di prova nei contratti a tempo determinato. In particolare, la durata del periodo di prova viene stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. La durata del periodo di prova ha, comunque, dei limiti di durata minimi e massimi che dipendono dalla durata complessiva del rapporto di lavoro a termine.
Cambia la modalità di calcolo del periodo di prova nei contratti a tempo determinato. Questa è una delle novità contenute nel Collegato Lavoro (legge n. 203/2024), che dopo un iter parlamentare di un anno e mezzo, conclusosi lo scorso 10 dicembre, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2024.
In particolare, l’art. 13 apporta una modifica all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n.104 del 27 giugno 2022, fornendo le specifiche riguardanti il calcolo del periodo di prova nei contratti a termine. Infatti, l’art. 7, del decreto Trasparenza, su indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, aveva affermato che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova doveva essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego, senza nulla aggiungere in merito alle modalità di calcolo della proporzione da effettuare. Con l’integrazione apportata proprio dal Collegato Lavoro, il computo del periodo di prova, istituto opzionale previsto dall’art. 2096 del cod. civ., diventa più semplice e non più soggetto a contenzioso tra le parti.
Calcolo del periodo di prova nei contratti a termine
In particolare, la durata del periodo di prova viene stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
La durata del periodo di prova ha, comunque, dei limiti di durata minimi e massimi che dipendono dalla durata complessiva del rapporto di lavoro a termine.
Nello specifico, nel caso in cui il rapporto a tempo determinato abbia una durata massima non superiore a sei mesi, la durata minima del periodo di prova dovrà essere di due giorni, mentre la durata massima non potrà superare i quindici giorni di prova.
Nel caso in cui il contratto di lavoro a termine abbia una durata superiore a sei ma inferiore ai dodici mesi, il periodo di prova, calcolato sempre in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, non potrà essere superiore a trenta giorni di effettivo lavoro.
La domanda sorge spontanea: ma se in un rapporto a termine di sei mesi la durata del periodo di prova è di massimo dodici giorni (2 giorni al mese per sei mesi), perché il legislatore pone il limite a quindici giorni? Si tratta di un limite che teoricamente non è raggiungibile e tantomeno superabile. Stesso discorso riguarda la durata massima del periodo di prova nei contratti di durata inferiore ai 12 mesi. Perché indicare un valore di trenta giorni, quando non si potranno superare i ventiquattro giorni di prova (2 giorni al mese per 12 mesi)?
Il legislatore non dice nulla per i rapporti a tempo determinato di durata uguale o superiore ai 12 mesi, ragion per cui ritengo che, in questi casi, debba continuare ad applicarsi il calcolo aritmetico previsto dal legislatore.
In merito al contratto collettivo, il legislatore dispone tale modalità di calcolo del periodo di prova fatte salve eventuali disposizioni più favorevoli proprio della contrattazione collettiva. Ciò sta a significare che la contrattazione collettiva di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) potrà continuare a disciplinare il periodo di prova. Logicamente, si deve trattare di contratti stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, così come previsto dall’art. 51, del D.Lgs. n. 81/2015.
Qualora vi sia un intervento da parte della contrattazione collettiva, ritengo che questo non potrà, comunque, prevedere un periodo superiore a quanto stabilito dalla norma di legge, in quanto la rimodulazione del periodo di prova dovrà essere necessariamente “più favorevole” al lavoratore.
Sempre in merito al calcolo del periodo di prova, secondo i dettami del nuovo art. 7, del D.Lgs. n. 104/2022, una frazione inferiore a 15 giorni porterà a non applicare un giorno aggiuntivo di prova.
Ad esempio, se il contratto a tempo determinato prevede un avvio per il primo di gennaio ed una conclusione per il 28 di marzo, la durata complessiva del rapporto di lavoro sarà di 87 giorni, che diviso 15 daranno un valore di 5,8 giorni. Non essendo stato previsto un criterio di arrotondamento (per eccesso e per difetto), ritengo che il mancato raggiungimento della cifra piena, anche per pochi decimi, non darà diritto ad aumentare di un altro giorno il periodo di prova, che si dovrà assestare, nell’esempio prospettato, ai cinque giorni.
Logicamente tale interpretazione potrà essere confermata o rivista dai chiarimenti che il Ministero del lavoro fornirà nelle prossime settimane.
Altra osservazione riguarda il calcolo del periodo di prova in caso di contratti a tempo parziale di tipo verticale. In questo caso, il calcolo effettuato sui giorni di calendario poco si confà con i giorni di effettiva prestazione.
Considerazioni conclusive
Concludo con un ultimo pensiero: potranno essere comunque possibili eventuali accordi individuali che prevedano un prolungamento del periodo di prova, al di sopra dei massimali legislativi o contrattuali?
Ritengo che tale possibilità, per quanto attuabile, è sconsigliabile, in quanto potrebbe portare ad un contenzioso difficilmente sostenibile dinanzi ad un giudice. Nell’accordo andrebbero evidenziate le motivazioni che hanno portato le parti ad ampliare il periodo di prova, come, ad esempio, l’impossibilità di “sperimentare” l’attività oggetto del contratto nei soli giorni indicati dalla legge.
Sarà compito del datore di lavoro sottolineare, in maniera analitica, la complessità delle mansioni che avrà il lavoratore, tali da ritenere inadeguata la durata della prova, come individuata dalla legge o dalla contrattazione collettiva, e non corrispondente alle necessità addotte dallo stesso legislatore laddove statuisce che “il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego” (art. 7, comma 1, decreto legislativo n. 104/2022).
Tali motivazioni dovranno, in caso di contenzioso, passare al vaglio di un giudice, che potrà non ritenere sufficiente la giustificazione presentata, ritenendo nullo il recesso comminato.
Fonte IPSOA.it