La variazione delle mansioni assegnate in contratto al lavoratore subordinato rappresenta sempre una fattispecie critica per quanto riguarda la gestione delle relazioni contrattuali. Sono molteplici le situazioni che possono determinarsi, in base alle ragioni che hanno portato alla necessità di apportare la modifica e al soggetto che la subisce. Le conseguenze per il datore di lavoro sono varie e in alcuni casi rilevanti sotto il profilo penale, ma anche il lavoratore rischia di compromettere in modo rilevante la propria serenità lavorativa. Cinque sono gli scenari che possono presentarsi.
Secondo una recente pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro (sent. n. 17270 del 24 giugno 2024), il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è valido quando un lavoratore rifiuta, ripetutamente e senza giustificazioni, di eseguire mansioni diverse, ma comunque rientranti nella propria qualifica lavorativa.
La disciplina della variazione delle mansioni operata dal Jobs Act è finalizzata al contemperamento di due esigenze precise: quello dell’impresa ad impiegare efficacemente il personale e quello del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche.
La legge prevede che il lavoratore debba essere adibito:
- alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito
- a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento (dirigenti, quadri, impiegati e operai) delle ultime effettivamente svolte.
L’assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, rientranti nella medesima categoria legale (operaio, impiegato, quadro o dirigente) è possibile nei casi di:
- modifica degli assetti organizzativi aziendali tali da incidere sulla posizione del lavoratore,
- ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi nazionali,
e deve essere sempre accompagnato, a pena di nullità, dall’assolvimento dell’obbligo di formazione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diventa definitiva (salvo diversa volontà del lavoratore):
- qualora sia stata dettata da ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio;
- una volta trascorso il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
Scenario n. 1 – Mutamento mansioni che incide sul tasso di rischio INAIL
- La situazione che si crea: il mutamento delle mansioni assegnate al lavoratore o l’assegnazione di mansioni promiscue incide sul rischio di infortunio o malattia professionale e dunque sulla corretta quantificazione del premio INAIL.
- Come gestirla: l’attribuzione di nuove mansioni, in sostituzione o in aggiunta a quelle già prestate dal lavoratore richiede una preventiva attenta valutazione dei rischi conseguenti, sia per valutare l’idoneità del dipendente che per valutare la rischiosità delle nuove mansioni. Il datore deve anche:
- denunciare all’INAIL la nuova lavorazione se non ancora censita;
- monitorare il tempo di lavoro dedicata a ciascuna attività rischiosa e percentualizzare in autoliquidazione la retribuzione imponibile;
- dopo l’adeguamento del DVR, erogare l’adeguata formazione in relazione alle nuove mansioni
- Sanzioni e rischi: la mancata denuncia all’INAIL delle variazioni rilevanti ai fini assicurativi entro 30 giorni dal loro verificarsi comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa da 125 a 770 euro, oltre all’obbligo di corrispondere i premi arretrati. A ciò si aggiungono anche eventuali contestazioni di reati in caso di mancata formazione dei dipendenti, mancata valutazione dei rischi e in caso di infortunio occorso al lavoratore.
Scenario n. 2 – Rifiuto del lavoratore a svolgere mansioni superiori
- La situazione che si crea: il lavoratore non può rifiutare l’attribuzione di mansioni superiori senza una valida motivazione, che può essere ricondotta ad una delle fattispecie individuate dalla giurisprudenza: equilibrio tra vita privata e lavoro, insicurezza sulle nuove competenze richieste, offerta retributiva non adeguata alle nuove responsabilità, ragioni di salute. Se invece risulta immotivato e pretestuoso, il rifiuto configura di fatto un atto di insubordinazione disciplinare che può portare anche al licenziamento.
- Come gestirla: il rifiuto della promozione potrebbe comportare la ridistribuzione o la soppressione delle mansioni originariamente assegnate al lavoratore. Se l’azienda non ha più necessità di coprire la posizione attuale del lavoratore e non riesce a trovare una nuova collocazione per lui all’interno dell’organizzazione, il datore di lavoro potrebbe procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
- Sanzioni e rischi: l’inottemperanza da parte del lavoratore a questa disposizione regolamentare, se ignorata o tollerata da parte dell’azienda, può ingenerare una “presunzione di non gravità” o, peggio ancora, un atteggiamento datoriale acquiescente e complicare la gestione di questo tipo di dinamiche allorché si genere un prevedibile effetto emulazione da parte di altri lavoratori in forza all’azienda.
Scenario n. 3 – Cambio mansioni durante il periodo di prova
- La situazione che si crea: il datore di lavoro assume un lavoratore subordinato prevedendo nel contratto un periodo di prova congruo rispetto alle mansioni individuate ed assegnate al dipendente, nel rispetto del termine massimo fissato a sei mesi dal D.Lgs. n. 104/2022. Durante lo svolgimento del periodo di prova si presenta l’esigenza di modificare le mansioni dedotte nel contratto di lavoro.
- Come gestirla: il patto di prova deve necessariamente contenere l’indicazione delle specifiche mansioni che il lavoratore deve svolgere.
- Sanzioni e rischi: la legge prevede l’illegittimità del recesso del datore di lavoro per mancato superamento della prova se il lavoratore è stato adibito a mansioni diverse da quelle pattuite. In questo caso, infatti, il recesso non può trarre la sua legittimità dalla speciale disciplina di cui all’art. 2096 cod. civ., in quanto il datore di lavoro non può avvalersi del patto di prova cui non abbia dato corretta esecuzione. Il patto di prova in questo caso è nullo.
Scenario n. 4 – Ridefinizione mansioni per maternità
- La situazione che si crea: al termine del periodo della maternità la dipendente che rientra al lavoro deve tornare a ricoprire lo stesso ruolo e svolgere le stesse mansioni che svolgeva prima della maternità. Può accadere però che durante il periodo di gravidanza e/o puerperio si manifesti una incompatibilità/pericolosità delle mansioni svolte o dell’ambiente di lavoro.
- Come gestirla: il datore di lavoro deve disporre l’immediata variazione della mansione o presentare richiesta di interdizione obbligatoria anticipata e/o prolungata fino a sette mesi dopo il parto all’Ispettorato territoriale del lavoro.
- Sanzioni e rischi: in mancanza di rettifica il datore di lavoro non può consentire al lavoratore di riprendere servizio. In questo caso l’INPS applica la stessa sanzione prevista per assenza al controllo.
Scenario n. 5 – Variazione mansioni su richiesta del lavoratore
- La situazione che si crea: può accadere che sia il lavoratore a chiedere un cambio di mansione al proprio datore di lavoro, in relazione a sopraggiunte esigenze personali e soprattutto familiari.
- Come gestirla: il datore di lavoro deve in primis richiedere al lavoratore di fare richiesta scritta di variazione, al fine di avere prova delle reali esigenze che hanno motivato la variazione accordata e scongiurare il rischio di una successiva contestazione per demansionamento o mobbing. Una volta ricevuta richiesta formale, il datore di lavoro ha facoltà di valutare, alla luce delle esigenze legate all’organizzazione aziendale, la possibilità di accogliere o meno tale istanza. Non sussiste infatti alcun obbligo per l’azienda in questo senso.
- Sanzioni e rischi: nel caso non sia possibile dimostrare che la variazione delle mansioni è derivata da una richiesta del lavoratore il datore di lavoro rischia di essere chiamato a risarcire i danni.
Fonte IPSOA.it