Con la reintroduzione delle dimissioni per fatti concludenti, Il DDL Lavoro, collegato alla legge di Bilancio 2025, offre la possibilità al datore di lavoro, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore, di chiudere il rapporto di lavoro imputando a quest’ultimo la volontà di recesso. L’obiettivo della disposizione è di porre rimedio alla prassi dell’allontanamento volontario del lavoratore, al fine di essere licenziato per acquisire il diritto alla NASpI: comportamento che ha comportato un costo per le aziende e per lo Stato.
Il Senato, nella seduta dell’11 dicembre 2024, ha approvato definitivamente il disegno di legge n. 1264 recante disposizioni in materia di lavoro (DDL Lavoro), d’iniziativa governativa e collegato alla legge di Bilancio 2025.
Nei prossimi giorni la legge sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Dimissioni volontarie: evoluzione normativa
Tra le novità apportate dal Collegato Lavoro, ne è presente una di particolare interesse per definire il recesso del rapporto di lavoro. Sto parlando della normativa in materia di dimissioni volontarie – art. 26, del D.Lgs. n. 151/2015 – che prevede l’obbligo, da parte del lavoratore, di effettuare la comunicazione di dimissioni al proprio datore di lavoro esclusivamente con la modalità telematica prevista tramite la piattaforma predisposta dal Ministero del Lavoro.
Tale obbligo è stato reso operativo dal 12 marzo 2016 e, fin dal principio, ha scontato la mancanza, all’interno del procedimento, di una regola che definisse le modalità di recesso in caso di inerzia del lavoratore nell’attivare la procedura telematica, non permettendo la definizione formale del rapporto di lavoro.
La legge delega n. 183/2014, recepita dal Governo con i decreti legislativi del 2015 (Jobs Act), aveva disposto, tra princìpi e criteri direttivi, la “previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore”. (Legge n. 184/2014 – articolo 1, comma 6, lettera g)
La suddetta disposizione era rimasta inattuata, in quanto il Governo, all’art. 26, del D.Lgs. n. 151/2015, non aveva previsto alcuna assicurazione circa la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamenti concludenti.
In questi anni la casistica relativa all’allontanamento volontario dei lavoratori, al fine di essere licenziati per acquisire il diritto alla NASpI, è fortemente aumentata. Ciò ha comportato un costo per le aziende e per lo Stato, il quale ha dovuto erogare l’indennità di disoccupazione a soggetti che, nella pratica, non ne avevano diritto.
Le novità del Collegato Lavoro
Dopo quasi nove anni, è intervenuto il Parlamento con una soluzione che, probabilmente, non accontenta tutti ma che almeno chiude il cerchio della procedura di risoluzione qualora il lavoratore, per disinteresse o mancanza di volontà, non proceda a compilare il modulo telematico di dimissioni.
La novità normativa è contenuta nell’art. 19, del Collegato Lavoro, che modifica l’art. 26, del D.Lgs. 151/2015, prevedendo l’aggiunta del comma 7-bis.
In particolare, una volta vigente la nuova norma, sarà data la possibilità al datore di lavoro, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore, di chiudere il rapporto di lavoro imputando a quest’ultimo la volontà di recesso.
La procedura, in capo al datore di lavoro, sarà la seguente:
- inviare una comunicazione all’Ispettorato del Lavoro, territorialmente competente sul rapporto di lavoro, con la descrizione circa l’assenza ingiustificata del lavoratore oltre quanto consentito dal CCNL applicato, ovvero oltre i quindici giorni. In attesa che l’Ispettorato fornisca i dovuti chiarimenti, ritengo che la comunicazione all’ITL potrà essere effettuata con una delle seguenti modalità:
- brevi manu,
- raccomandata con ricevuta di ritorno,
- posta elettronica certificata. È possibile trovare l’indirizzo PEC delle ITL accedendo al sito dell’Ispettorato nazionale del lavoro (www.ispettorato.gov.it), sezione “L’Agenzia” e poi “Le sedi INL”.
- Effettuare, entro i 5 giorni successivi alla data di decorrenza della cessazione, la comunicazione obbligatoria telematica al Centro per l’Impiego. Il giustificativo del recesso dovrà essere: “dimissioni volontarie”.
Sul primo punto, una volta che l’Ispettorato del Lavoro avrà ricevuto la comunicazione da parte del datore di lavoro, potrà valutare se effettuare una verifica circa la veridicità dell’informativa stessa, anche rispetto alla congruenza del periodo di assenza con quanto previsto dal contratto collettivo.
Proprio per quanto attiene la durata massima dell’assenza ingiustificata, al di là della quale nasce il diritto del datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro, la verifica dovrà riguardare l’articolo del contratto collettivo nazionale di lavoro che tratta il codice disciplinare. A mero titolo di esempio, riporto le previsioni di alcuni dei principali CCNL:
- METALMECCANICA industria: oltre i quattro giorni;
- METALMECCANICA – Piccola e media industria – Confapi: oltre i quattro giorni;
- TERZIARIO – Confcommercio: oltre i tre giorni;
- TERZIARIO – Confesercenti: oltre i tre giorni;
- ALIMENTARI – Aziende industriali: oltre i tre giorni;
- ALIMENTARI – Piccola e media industria: oltre i tre giorni;
- PANIFICAZIONE: oltre i tre giorni;
- TURISMO – Confesercenti: oltre i cinque giorni;
- LATERIZI – Aziende industriali: oltre i quattro giorni;
- AUTOTRASPORTO MERCI E LOGISTICA: oltre i tre giorni.
Superato il limite, il datore di lavoro è abilitato a procedere al recesso dal rapporto di lavoro imputando al lavoratore assente la volontà di recedere.
Qualora il contratto collettivo non dovesse aver normato la materia, il datore di lavoro dovrà attendere il sedicesimo giorno di assenza ingiustificata consecutiva per comunicare la cessazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego, sempre come dimissioni volontarie.
Onere della prova in capo al lavoratore
Sarà eventualmente il lavoratore a dover dimostrare che l’impossibilità a rendere la prestazione non è a lui imputabile, ma dovuta ad una causa di forza maggiore ovvero ad un comportamento attribuibile al datore di lavoro che gli ha impedito di prestare l’attività lavorativa ovvero di giustificare l’assenza.
In pratica, passa in capo al lavoratore l’onere della prova circa il fatto che l’assenza non sia a lui imputabile ma piuttosto ad un intervento terzo: forza maggiore o comportamento ostruttivo da parte del datore di lavoro.
Considerazioni conclusive
La nuova procedura agevolerà l’azienda, la quale in questi anni ha dovuto avviare procedure disciplinari di licenziamento, al fine di riparare ad un buco normativo che non prevedeva una modalità di uscita in caso di inerzia del lavoratore, all’effettuazione della procedura telematica di dimissioni.
La cosa che mi lascia perplesso è la differenza di giorni qualora tra le parti venga applicato un CCNL che ha disciplinato il numero massimo di giorni di assenza ingiustificata consentiti e un CCNL che viceversa non norma tale dato.
Si passa da una dimissione per fatti concludenti applicabile dopo “soli” 4 giorni, se tra le parti vige, ad esempio, il CCNL Alimentari industria, contro i 16 giorni di attesa qualora il CCNL applicato tra le parti non preveda un limite massimo di giorni per assenza ingiustificata.
D’altra parte, c’è la necessità di evitare che tale procedura semplifichi oltremisura la volontà risolutiva del lavoratore e indirettamente reintroduca le dimissioni in bianco.
Fonte IPSOA.it
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