Il DDL Lavoro prevede la facoltà di richiedere la costituzione di rendita vitalizia, per il lavoratore, senza limiti di tempo. Si tratta, nello specifico, della possibilità, prevista dall’art. 13 della Legge n. 1338/1962, di riscattare i periodi di lavoro per i quali i relativi contributi non sono stati versati e che risultano ormai prescritti. Il disegno di legge sottolinea però la necessità di provare l’esistenza del rapporto lavorativo: in relazione ai periodi con contribuzione obbligatoria omessa e prescritta è infatti necessario presentare all’INPS documenti di data certa.
Il DDL Lavoro è stato approvato alla Camera dei Deputati ed ora è all’esame del Senato. Diverse risultano le disposizioni in materia previdenziale stralciate, tra cui la possibilità di ricongiunzione gratuita, con il solo trasferimento del montante contributivo, nonché di ricongiunzione da e verso la gestione separata. Fortunatamente, resta in piedi la facoltà di richiedere la costituzione di rendita vitalizia, per il lavoratore, senza limiti di tempo.
Si tratta, nello specifico, della possibilità (art. 13 Legge n. 1338/1962) di riscattare i periodi di lavoro per i quali i relativi contributi non sono stati versati e che risultano ormai prescritti. Sul termine di prescrizione relativo all’esercizio di questa facoltà si è discusso ampiamente, negli ultimi anni: l’art. 21 del DDL Lavoro approvato alla Camera mette fine ai dubbi in merito e, pur confermando i termini di prescrizione per la costituzione di rendita vitalizia con onere a carico del datore di lavoro, non prevede termini massimi relativi alla possibilità di riscatto dei periodi omessi e prescritti, con costo a carico del lavoratore.
Costituzione della rendita vitalizia: come funziona
La costituzione della rendita vitalizia, prevista dall’art. 13 della Legge n. 1338/1962, permette di riscattare i periodi lavorativi per cui non sono stati versati i contributi previdenziali, purché questi siano caduti in prescrizione e l’interessato non risulti “in proprio” il responsabile dei versamenti contributivi. Lo strumento, dunque, si applica non solo ai lavoratori dipendenti, ma anche a coloro che non sono direttamente tenuti ai versamenti contributivi in merito all’attività lavorativa svolta, pur scontando una quota a proprio carico, come i collaboratori e coadiutori (Corte costituzionale, sent. N. 18/1995).
Il mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del lavoratore, consistente:
- da una parte, nella perdita, totale o parziale, del trattamento di pensione, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge i requisiti per la prestazione;
- dall’altra parte, nella necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla quota di pensione mancante: l’interessato deve dunque richiedere al datore di lavoro, o comunque al responsabile dell’obbligo contributivo, l’ammontare occorrente a costituire la rendita vitalizia di cui all’art.13 Legge n. 1338/1962, oppure esercitare contro lo stesso un’azione exart.2116 co.2 cod. civ. per ottenere il pagamento della riserva matematica.
In altre parole, il lavoratore può richiedere il risarcimento del danno pensionistico, in base al Codice civile, oppure la costituzione di una rendita vitalizia che compensi la diminuzione della futura pensione. Nel primo caso, il lavoratore riceve una somma (quantificata comunque secondo il valore oggettivo della costituzione di rendita vitalizia) che rimane nella sua disponibilità, mentre nella seconda ipotesi l’azione di costituzione di rendita vitalizia è finalizzata a versare a INPS la quota necessaria a riparare il danno sulla futura pensione.
La costituzione della rendita vitalizia rappresenta dunque un rimedio fondamentale per rimediare al danno subito per il mancato versamento dei contributi, offrendo una “reintegrazione specifica” (Cassazione, sentenza n. 6088/1981), che pone l’interessato nella stessa situazione previdenziale in cui si troverebbe se i contributi fossero stati regolarmente versati.
Termini di prescrizione
Ci si domanda, a questo punto, se esista un termine massimo entro cui esercitare questa facoltà. A tal proposito, va innanzitutto evidenziato che i crediti contributivi INPS si prescrivono in:
- 5 anni dall’insorgenza dell’obbligo di versamento da parte del datore di lavoro;
- 10 anni, se interviene entro i 5 anni dall’insorgenza dell’obbligo una denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti (art. 3, comma 9, Legge n. 335/1995).
Il diritto di richiedere al datore di lavoro il riscatto dei contributi omessi e prescritti si prescrive a sua volta in 10 anni dalla prescrizione del credito contributivo dell’Inps.
Di conseguenza, non è più possibile pretendere che il datore di lavoro costituisca la rendita vitalizia trascorsi:
- 15 anni dall’insorgenza dell’obbligo contributivo;
- 20 anni dall’insorgenza dell’obbligo contributivo, in caso di denuncia,
Questo è quanto stabilito dalle Sezioni Unite della
Corte di cassazione, con la sentenza n. 21302/2017.
Le indicazioni dell’INPS
Proprio basandosi sulla sentenza delle Sezioni Unite appena menzionata, è importante evidenziare che, negli ultimi anni, la maggior parte delle sedi INPS ha rifiutato la costituzione della rendita vitalizia per intervenuta prescrizione, anche con onere a carico del lavoratore.
Tuttavia, tale disposizione evidenzia soltanto la prescrizione della facoltà di costituire la rendita vitalizia con onere a carico del datore di lavoro, non del dipendente interessato.
Gli orientamenti della giurisprudenza
Devono essere dunque meglio specificati quelli che risultano gli orientamenti della giurisprudenza in materia.
Nel tempo, si sono alternate due correnti di pensiero opposte:
- la prima, più datata e pressoché uniforme nel tempo, propendente per l’imprescrittibilità (Cass., sent. n. 1304/1971; n. 1374/1974; n. 1298/1978; n. 5487/1983; Corte d’Appello di Firenze, sent. del 9 febbraio 2004; Tribunale di Viterbo, sent. del 9 luglio 2008);
- la seconda, invece, favorevole alla prescrizione, salvo la dimostrazione dell’impossibilità per il lavoratore di ottenere il versamento dal datore entro i termini prescrizionali (Cass., sent. n. 15304/2005). In pratica, secondo quest’ultimo orientamento, il lavoratore è tenuto a provare di aver inutilmente richiesto al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia: in caso contrario, si presume che abbia concorso, con propria negligenza, a causare il danno pensionistico, che dunque può essere ridotto o escluso ai sensi dell’art. 1227 del Codice civile (Cass., Sez. Lavoro, sent. n. 20827/2013).
In tale contesto, va evidenziato che non risulta corretto annoverare la sentenza SS.UU. n. 21302/2017 come favorevole alla prescrizione, in quanto la pronuncia verte esclusivamente sul termine prescrizionale riguardante il diritto al riscatto dei contributi omessi con onere a carico del datore di lavoro.
Successivamente, la Suprema Corte ha apportato un cambiamento rilevante con l’ordinanza interlocutoria n. 13229 del 14 maggio 2024, attraverso la quale ha:
- in primo luogo, ricordato che, in sede di interpretazione dell’art. 13 Legge n. 1338/1962, la giurisprudenza di legittimità meno recente aveva pressoché uniformemente riconosciuto la facoltà di costituzione della rendita vitalizia senza limiti temporali;
- successivamente, sottolineato che le affermazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite n. 21302/2017 non siano vincolanti, in quanto emesse in una fattispecie in cui l’eccezione di prescrizione dell’azione di costituzione della rendita vitalizia era stata sollevata dal datore di lavoro e non dall’Inps;
- da ultimo, ha ribadito che la finalità dell’art. 13 Legge n. 1338/1962 è volta a evitare che il danno causato al lavoratore dall’omissione contributiva diventi definitivo, considerando che la costituzione della rendita vitalizia (Corte costituzionale, sent. n. 568/1989):
- garantisce un trattamento di favore ai lavoratori privati della pensione a causa del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, nonché dell’impossibilità del loro tardivo pagamento per intervenuta prescrizione;
- risulta particolarmente utile nei casi in cui le omissioni contributive risalgano a periodi molto remoti e vengano denunciate dopo molti anni, soprattutto nei confronti di datori di lavoro deceduti o di ditte scomparse (Corte costituzionale, sent. n. 26/1984).
Secondo la Cassazione, poi, la decorrenza della prescrizione in danno del lavoratore dovrebbe essere collegata al momento in cui si concretizza il danno ai sensi dell’art. 2116, comma 2, Codice civile, ossia al momento in cui l’ente previdenziale nega la prestazione pensionistica a causa dell’omissione contributiva.
Riassumendo quanto esposto, la Suprema Corte, nella citata ordinanza, ha ritenuto che la decorrenza per la richiesta di riscatto debba iniziare nel momento in cui il lavoratore subisce effettivamente il danno, cioè quando l’ente previdenziale non riconosce la pensione per mancato versamento dei contributi.
La costituzione della rendita vitalizia nel Ddl Lavoro
Il Ddl Lavoro, che sta per terminare il suo iter dopo l’approvazione alla Camera, mette un punto definitivo sulla questione, prevedendo la possibilità, per il lavoratore, di esercitare la costituzione di rendita vitalizia senza limiti di tempo. Recita infatti l’art. 21 del DDL “All’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, dopo il sesto comma è aggiunto il seguente: «Il lavoratore, decorso il termine di prescrizione per l’esercizio delle facoltà di cui al primo e al quinto comma, fermo restando l’onere della prova previsto dal medesimo quinto comma, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale la costituzione della rendita vitalizia con onere interamente a proprio carico, calcolato ai sensi del sesto comma».”
La prova del rapporto di lavoro
Il Ddl Lavoro sottolinea, e non a caso, la necessità di provare l’esistenza del rapporto lavorativo.
Perché, in relazione ai periodi con contribuzione obbligatoria omessa e prescritta, possa essere costituita la rendita vitalizia, è infatti necessario presentare all’INPS documenti di data certa, dai quali possa evincersi l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro e la sua natura (art.13 co. 4 della L. 1338/62).
La documentazione scritta da presentare deve soddisfare le seguenti condizioni:
- essere redatta all’epoca dello svolgimento del rapporto di lavoro;
- in alternativa, può essere redatta successivamente al periodo dello svolgimento del rapporto di lavoro, purché sia risalente rispetto alla data della domanda di rendita vitalizia, così da far escludere che sia stata costituita allo specifico scopo di consentire la costituzione della rendita vitalizia;
- avere attinenza con il rapporto di lavoro a cui l’istanza si riferisce;
- non risultare di formazione esclusiva del beneficiario;
- risultare datata e debitamente sottoscritta da colui che ne è l’autore;
- risultare completa in ogni sua parte ed integra, priva di abrasioni, alterazioni o cancellazioni tali da far presumere che sia stata precostituita allo scopo di ottenere il beneficio della rendita vitalizia.
Se vi sono margini di incertezza o ambiguità in merito alla sussistenza del rapporto di lavoro in discussione, alla sua effettività o alla sua natura, la domanda di costituzione della rendita non può essere accolta.
Queste verifiche particolarmente severe sono previste in quanto il legislatore ha inteso impedire la costituzione di posizioni assicurative fittizie: non è quindi sufficiente che l’esistenza del rapporto di lavoro appaia verosimile, ma deve risultare certa (Corte Cost. n. 26/84 e n. 568/89).
La durata, la continuità della concreta prestazione lavorativa, la qualifica e gli ulteriori aspetti rilevanti del rapporto lavorativo possono essere verificati anche con “altri mezzi di prova” (Corte Cost. n. 568/89).
Fonte IPSOA.it
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