L’emolumento una tantum da erogare ai dipendenti non conserva la stessa natura dei ticket inutilizzati, con la conseguenza che non può essere incluso fra le prestazioni non imponibili
Un ente, che ha sottoscritto un accordo integrativo con le organizzazioni sindacali per corrispondere ai propri dipendenti le somme risparmiate dalla mancata assegnazione dei buoni pasto nel 2020, dovrà far concorrere tali importi alla formazione del reddito, non potendo considerarli dei componenti esclusi dalla tassazione individuati dall’articolo 51, comma 2, Tuir. Lo ha chiarito l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 377 del 14 luglio 2022.
L’istante, nel dettaglio, si voleva avvalere della disposizione della legge di Bilancio 2021 (articolo 1, comma 870, legge n. 187/2020) che prevede la possibilità di utilizzare i risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati nel corso del 2020, previa certificazione da parte dei competenti organi di controllo, per finanziare nell’anno 2021 i trattamenti economici accessori o legati al welfare.
L’Agenzia tuttavia rileva che tale contributo in denaro, pur derivando dal risparmio dei buoni pasto non erogati nel 2020, non conserva l’originaria natura che hanno i ticket restaurant, con la conseguenza che, diversamente da quanto ritenuto dall’istante, non può trovare applicazione l’articolo 51, comma 2, lettera c), del Tuir ((non concorrono alla formazione del reddito: “le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica”).
Parimenti l’Agenzia ritiene che il contributo in esame non sia riconducibile neanche fra le iniziative di welfare escluse dal reddito in ragione della loro valenza sociale come indicato nella lettera f) dello stesso articolo 51, comma 2 del Tuir.
Va rilevato inoltre che, secondo quanto rappresentato dall’istante, il benefit consisterà nell’erogazione di un contributo in denaro una tantum, da liquidare in misura fissa e uguale per tutti i dipendenti, a prescindere dalla qualifica, dal livello professionale, dai figli o dal numero dei componenti del nucleo familiare. Al riguardo l’Agenzia ricorda che l’articolo 96 del Ccnl di comparto nel descrivere le iniziative socioassistenziali per il personale prevede che “Gli enti disciplinano, in sede di contrattazione integrativa, la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipendenti, tra i quali:
- iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi)
- supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli
- contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale
- prestiti a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari
- del credito bancario o che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili
- polizze sanitarie integrative delle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale”
La stessa circolare n. 11/2021 del ministero dell’Economia e delle Finanze, nel fornire indicazioni operative sulle modalità di calcolo dei menzionati risparmi, ha precisato che, una volta acquisita la necessaria certificazione, i già menzionati risparmi sono destinati, in deroga all’articolo 23, comma 2, del Dlgs n. 75/2017 al finanziamento dei trattamenti economici accessori correlati alla performance e alle condizioni di lavoro ovvero agli istituti del welfare integrativo.
In definitiva non c’è alcuna similitudine fra i benefici previsti dalle iniziative di welfare sociale e l’una tantum che l’istante intende erogare ai suoi dipendenti. Le somme, quindi, dovranno concorrere alla formazione del reddito.
Fonte FiscoOggi.it
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